giovedì 11 ottobre 2012

Tutti i santi giorni, le recensioni. Gianluca Arnone per Libero.it

Così tenera che si taglia con un grissino. E' la love-story in punta di piedi firmata Paolo Virzì, così vicina al minimalismo romantico targato Sam Mendes (quello di Away We Go, ovviamente) da adombrare il plagio. Non lo è ed è un peccato. Perché Tutti i santi giorni sono buoni finchè il regista livornese riesce a mantenere - la prima ora, minuto più minuto meno - un registro tonale degno di un sussurro, intimo come una sonata di Schumann. D'altra parte di sonate abbonda il film, con la bella scoperta Thony (musicista indipendente di origini siciliane) che, prova convincente a parte, regala al film - e a noi -un repertorio di ballate a metà strada tra Jony Mitchell e Norah Jones. Arrivano come carezze.
Thony è Antonia, Luca Marinelli - una conferma - Guido. Sono giovani, carini e innamorati: lui, portiere di notte in un albergo romano a 4 stelle, ragazzo timido ed erudito (soprannome: Guidipedia), esperto in letteratura protocristiana, tanto da meritare le avances di prestigiose università americane; lei, cantautrice dalle spiccate qualità di scrittura e una voce cristallina, costretta a lavorare in un autonoleggio sulla Tiburtina. Due degli innumerevoli talenti sprecati di Italia nostra; due anime belle che, nonostante l'impossibilità di procreare, si tengono e si amano l'un l'altra con complicità, semplicità, tutti (e nonostante tutto) i santi giorni.
Il resto è periferico: c'é Acilia - dove la coppia tiene nido - con tutto il suo reticolato umano di casette a schiera con giardino, sciampiste e ultrà travestiti da mariti; le famiglie: quella di lui è toscana, naturalmente perbene, rassicurante come una minestra calda sul tavolo; quella di lei è folklore e nervi, cuore in mano e spada pronta, un piccolo plotone ammaccato dalle logoranti guerre di ogni giorno. Sicula credibilmente. E c'é il contorno di caratteristi e navigati attori di teatro, alcuni preziosi, altri sbagliati: avventori e bulli da bar, ospiti molesti e ginecologi maldestri, rockettari bruciati e cani fedeli. Quindi Roma: quella delle cupole e quella dell'Atac, suggestiva e indisponente. Tasselli che compongono uno sfondo non sempre coeso, non del tutto originale, trascurabile come i sottotesti politici e bioetici (parentetici, che altro?).
Perchè al centro restano loro due, figli senza padri e sposi senza figli. Che si amino è quasi inevitabile. Che debbano lasciarsi e riprendersi e "tradirsi" nelle tipiche gag da commedia nostrana lo sarebbe meno. Vizio del cinema italiano che non si fida ancora di se stesso, e del pubblico.
E' il peccato di un film comunque controcorrente, inedito, che sarebbe stato migliore se fosse rimasto fino in fondo com'era: modesto (nel senso buono), intimo, innamorato. Come il romanzo da cui è tratto (la generazione di Simone Lenzi). Se solo Virzì si fosse affidato a lui fidandosi un po' meno di se stesso.

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