giovedì 11 ottobre 2012

Tutti i santi giorni, le recensioni. Dal blog "Presi nella rete" di Riccardo Staglianò su Repubblica.it

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“Tutti i santi giorni” e il libro che l’ha ispirato


Esce oggi nelle sale “Tutti i santi giorni”, il nuovo film di Paolo Virzì. L’occasione giusta per riparlare del romanzo a cui è liberamente tratto. La storia di uno che lavora in controfase rispetto al resto dell’umanità. Un portiere di notte, sveglio mentre gli altri dormono. E di sua moglie che «ha più pregi che difetti, però non è una che si accontenta». Vuole, vogliono, avere un figlio che non viene. Insistono. Insistono. Insistono. Nel frattempo lui, il più meditativo della coppia, riflette sulle tante incongruenze del mondo. Con ironia, sulla burocrazia autoerotica della consegna del seme. Con malinconia, sulla sorte di una famiglia di ospiti ricorrenti, i Boldrini, che vengono per far curare la figlia malata nel vicino ospedale. Sempre con un’umanità acutissima nel trattamento delle situazioni e dei personaggi. Perché gli uomini sbagliano, in continuazione. Ci vorrebbe un primo tempo per commettere tutti gli errori, e un secondo in cui fare finalmente le cose per bene. E invece, come ricorda Ippocrate nell’esergo del libro che ne diventa anche l’ossatura in altrettanti capitoli, «La vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione fuggevole, l’esperimento pericoloso, il giudizio difficile». Servono più generazioni per imparare, migliorare, accumulare esperienza. Ma ai protagonisti di La generazione (Dalai, 160 pp., 15 euro) questa possibilità sembra momentaneamente preclusa.
Il romanzo d’esordio di Simone Lenzi, cantante dei Virginiana Miller, è un magazzino postmoderno di erudizione. Come certa fiction riboccante di fatti alla Don DeLillo, Tom Wolfe o David Foster Wallace. Se non fosse laureato in filosofia si sospetterebbe che l’autore sia un medico. Del ‘500. Alla Paracelso. Dedito a indagare, tanto nella fisiologia quanto nella psiche, la condizione umana. Con i suoi desideri incandescenti e quelli più tiepidi. Come quando la moglie lo interpella: «Ma tu lo vuoi un figlio? mi ha chiesto un giorno. Si, lo vorrei ho risposto. Vorrei un figlio (vorrei una figlia, a dire la verità). Sinceramente, vorrei tante cose». Compreso evitare provette, impianti e devastanti attese. Sul finale assistiamo a una regata esistenziale. Si parla di Dio che dice a Giona di alzarsi. Si intuisce che il monito è più ampio, non esclude il lettore. È un richiamo importante, uno dei tanti motivi per cui essere grati a questo libro prezioso. E per precipitarsi in sala ad apprezzarne l’interpretazione cinematografica di Virzì.

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