sabato 6 ottobre 2012
Le recensioni: Ilaria Lavarino per Leggo
Arriverà giovedì prossimo in 300 copie Tutti i santi giorni, atteso ritorno in sala del regista livornese Paolo Virzì in uno dei momenti (economicamente) meno felici per il cinema italiano: «Arrivano notizie sanguinose dalla trincea dei box office – ha detto oggi il regista a Roma, presentando il film alla stampa – tanto che per un attimo abbiamo pensato di far pagare il biglietto anche a voi giornalisti. Di questi tempi…».
Molto liberamente tratto dal romanzo La generazione del musicista livornese Simone Lenzi («Sono felice che il mio romanzo sia stato d’ispirazione per qualcuno»), Tutti i santi giorni è il racconto tragicomico dell’odissea di una giovane coppia, lui portiere di notte e lei impiegata in un autonoleggio, ostinatamente decisa ad avere un figlio. Nella parte dei protagonisti un ottimo Luca Marinelli, già visto ne La solitudine dei numeri primi e L’ultimo Terrestre, e l’esordiente Thony, cantautrice siciliana che nel film ha portato anche le proprie, struggenti, canzoni.
Virzì, perché ha scelto di adattare il libro di Lenzi?
Mi ha colpito il modo con cui Lenzi ha raccontato, nel romanzo, il rapporto fra i due protagonisti. Perché più che il tema, interessantissimo, della ricerca di fare un figlio, a me interessavano le persone: l’idea che nel gelo, nella ferocia e nella volgarità del mondo ci sia una coppia che, per quanto eccentrica, riesce a vivere un’autentica storia d'amore. Oggi non è facile parlare d’amore in modo realistico e non melenso.
Ha cambiato molto della storia nell’adattarla al cinema?
Sì. Mentre il romanzo è una specie di monologo interiore del protagonista maschile, il film sposa entrambi i punti di vista: quello dell’uomo e quello della donna. La cosa più difficile è stata conservare la purezza e la semplicità del racconto originale, da cui emerge la verità del sentimento.
I due protagonisti, Guido e Antonia, sono figure realistiche?
Certamente. Esistono ragazzi come loro così come esistono certe maschere grottesche narrate dai media, penso a gente come Fiorito. Se i Guido e le Antonie non vengono raccontati dai giornali, questo non vuol dire che non abbiano un posto nella nostra società.
Perché, in un momento così delicato per il paese, ha voluto raccontare una storia d'amore?
Veramente il cinema io ho cominciato a farlo proprio una storia d’amore, ambientata a Piombino, che si chiamava La bella vita. Ripeto: quel che mi ha sempre interessato raccontare sono le vicende umane. E spesso è capitato che queste vicende sfiorassero temi di rilevanza sociale, giornalistica o politica. Ma non credo che basti un tema, per quanto importante, per fare un buon film.
Nel film però una categoria la maltratta: i medici…
Non maltratto nessuno: semplicemente, la categoria dei medici mi sembrava interessante da raccontare. Metto in scena due tipi di dottori: quello tradizionale, che molto italianamente non si rivolge alla paziente ma al suo uomo, scoraggiando entrambi a ricorrere alla fecondazione assistita, e l’altro tipo di medico, la ginecologa che guarda negli occhi la paziente, un po’ brusca ma schietta.
Non è molto tenero nemmeno con la città di Roma.
Dipende. Ci sono diverse Roma nel film. C’è quella tradizionale tutta cupole e c’è la città opulenta e incinta. Poi c’è il paesaggio contemporaneo, che provo a descrivere con ironia e tenerezza. Non mi sento manicheo nei confronti di una città così complessa, dove ho girato altri film e sempre con sentimenti molto diversi.
Come ha scelto i suoi attori?
Thony me l’ha segnalata Simone Lenzi: cercavo un’attrice o una cantante che fosse in grado di portare nel film anche la propria musica. All’inizio temevo che Thony fosse un po’matta, una pazza esaltata, e quindi l’ho incontrata con circospezione. Invece mi sono ritrovato davanti una ragazza molto spiritosa, senza ambizioni cinematografiche, capace di darsi al film. Quanto a Luca Marinelli, mi ha conquistato al cinema quando l’ho visto recitare nella parte del transessuale ne L’ultimo Terrestre di Gipi. Ha dolcezza, bellezza e talento. Insieme, sono una coppia che funziona molto bene sul grande schermo.
Micaela Ramazzotti, sua moglie, non ha un ruolo nel film. Eppure il personaggio della vicina di casa sembra scritto per lei.
Veramente Micaela, quando ha visto il film, non si è identificata nella vicina di casa ma in Antonia. Il fatto è che tra Antonia e Guido scattano alcune dinamiche molto simili a quelle casalinghe fra lei e me.
Per esempio?
Per esempio quando io gioco a fare il filosofo noioso...
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